Devono passare diversi giorni prima che riesca a dedicarmi alla sua
lettura, ma nel momento in cui aggredisco le prime pagine (particolarmente
ostiche, devo ammettere), capisco che è un libro che leggerò tutto d’un fiato.
Vi rimando al link per scoprirne la trama e l’importanza a livello
letterario (ha vinto il premio Hugo nel 1990, non è poco).
Ciò di cui invece di cui voglio scrivere qui sono gli spunti di riflessione
e di ricerca che il romanzo mi ha regalato.
Innanzitutto, lo stile.
Ogni scrittore col tempo crea, sperimenta ed, infine, affina un proprio
personale stile che lo contraddistingue: ci vogliono anni però, tanti libri
letti e tanti fogli scritti.
Anni durante i quali si inizia a scrivere cercando di emulare lo stile
degli autori preferiti e, allo stesso tempo, si cerca timidamente di
allontanarsene sempre di più.
Tale procedimento porta, prima o poi, ad uno svezzamento stilistico e, da
non sottovalutare, psicologico.
Si cerca il coraggio di scrivere quello che si ha dentro e ciò, per molti,
è una forma di affermazione personale che travalica la scrittura in sé
Inoltre, col passare degli anni si scopre quale genere letterario è più
consono al proprio animo: la poesia...o forse il romanzo. Non sarebbe meglio un
bel racconto breve? E il romanzo storico? La fantascienza? Per non parlare del
diario autobiografico, della sceneggiatura cinematografica e della saggistica.
Inevitabilmente, però, quando nella tua mente visualizzi, senti (e già ne
pregusti le frasi) una trama che funziona, e magari la immagini
come un bel poema in terzine di endecasillabi, la tua penna inizia a scriverla
in tutt'altro modo, cioè come in realtà sai fare meglio: un racconto beve, per
esempio.
Ci vuole una particolare attitudine e una grandissima flessibilità per
passare (con risultati decenti) da uno stile all’altro. Pochi scrittori che si
avventurano in questi campi ottengono lavori che vale la pena di pubblicare e
di leggere.
Simmons, per mia fortuna, è uno di questi. Cambia stile, relativo
linguaggio e sfumature psicologiche in base al personaggio o alla situazione. A
volte per piegarsi ad esigenze di trama, a volte, e si vede, per puro
divertimento.
La cosa grande è che lo fa all’interno della stessa opera.
Per chi, come me, legge la sera alla luce di una abat-jour quasi sempre lo
stesso numero di pagine fino a quando non si addormenta, è più lampante questo
distacco, questa netta differenza che caratterizza le varie parti del romanzo
rispetto ad un’opera che mantiene sempre lo stesso ritmo.
E non puoi fare altro che sorridere quando ti accorgi di esserti
immedesimato tanto da aver dimenticato che è stata la stessa persona ad avere
sritto quelle diverse parti.
Grazie Simmons.
Hyperion: il titolo Simmons lo ruba al canto “La caduta di Hyperion: un
sogno”, scritta dal poco conosciuto, e poco studiato, romantico poeta
inglese John Keats nel 1819.
Non conosco Keats, ma i continui riferimenti ai suoi poemi, alla sua vita e
alla sua personalità contenuti nell’opera, mi incuriosiscono a tal punto da
cercarlo in rete e acquistarne le opere.
Simmons infatti, arriva a dedicargli un intero personaggio, un cibrido (un
essere umano, cioè, in cui è stata impiantata l'intelligenza e la personalità
di un altro essere umano) da cui rimango subito affascinato: bello,
malinconico tormentato. Un po’ Roy Batty di Blade Runner, un po’ Leopardi.
Sfoglio le pagine dell’edizione italiana con la curiosità di leggere
proprio Hyperion per capire cosa abbia ispirato Simmons ma, ahimè, leggo nella
prefazione che non vi è inclusa, perché non è facile trovarne una traduzione in
italiano. Le opere che ho davanti sono tutto il repertorio poetico tradotto,
almeno in edizioni attualmente in libreria.
Pazienza, lo leggerò comunque.
I poemi differiscono per lunghezza, ma sono tutti complessi e articolati:
solo dopo averne letti diversi mi accorgo, dal testo inglese a fronte, che
originariamente erano in rima.
Peccato, la traduzione italiana, per quanto ottima, ha tralasciato questo
aspetto, a mio parere importantissimo.
Una poesia, in particolare, mi ha colpito e ha attivato in me quei
collegamenti metatestuali, che arrivo a mettere a fuoco solo che
dopo giorni e giorni ho rimuginato.
La incollo qui, affinché si possano trarre le mie stesse sensazioni:
«Che
terribile bellezza! Da quest’istante strappo dalla mia mente qualsiasi altra
donna»
Terenzio,
Eunuco, II, 4
Voglio
una coppa piena sino all’orlo
E dentro annegarci l’anima:
Riempitela d’una droga capace
Di bandire la Donna dalla mente.
E non voglio dell’acqua poetica, che scaldi
E dentro annegarci l’anima:
Riempitela d’una droga capace
Di bandire la Donna dalla mente.
E non voglio dell’acqua poetica, che scaldi
I sensi
al desiderio lussurioso,
Ma una sorsata profonda
Tracannata dalle onde del Lete,
Per liberare con un incanto il mio
Petto disperato dall’immagine
Più bella che gli occhi miei festanti
Videro, intossicandone la mente.
Ma una sorsata profonda
Tracannata dalle onde del Lete,
Per liberare con un incanto il mio
Petto disperato dall’immagine
Più bella che gli occhi miei festanti
Videro, intossicandone la mente.
È
inutile – mi perseguita struggente
La dolcezza di quel viso.
Lo sfavillio del suo sguardo splendente –
E quel seno, terrestre paradiso.
La dolcezza di quel viso.
Lo sfavillio del suo sguardo splendente –
E quel seno, terrestre paradiso.
Mai più
felice sarà la vista mia,
Ché ha perso il visibile ogni sapore:
Perduto è il piacere della poesia,
L’ammirazione per il classico nitore.
Ché ha perso il visibile ogni sapore:
Perduto è il piacere della poesia,
L’ammirazione per il classico nitore.
Sapesse
lei come batte il mio cuore,
Con un sorriso ne lenirebbe la pena,
E sollevato ne sentirei la dolcezza,
La gioia, mescolata col dolore.
Come un toscano perduto in Lapponia,
Tra le nevi, pensa al suo dolce Arno,
Così sarà lei per me in eterno
L’aura della mia memoria.
Con un sorriso ne lenirebbe la pena,
E sollevato ne sentirei la dolcezza,
La gioia, mescolata col dolore.
Come un toscano perduto in Lapponia,
Tra le nevi, pensa al suo dolce Arno,
Così sarà lei per me in eterno
L’aura della mia memoria.
Ricordiamoci che Keats
è uno dei primi e dei maggior poeti romantici e leggerlo oggi, quando il massimo del romanticismo è fiori-cenetta-cioccolattini-notte insieme al suono
dei Modà, fa salire il diabete anche ad un cucciolo di Chow Chow
Ma mentre leggevo ero sicuro
che lo stesso spessore e la stessa passione li avevo già sentiti. E non nei
Modà.
Con le dovute
differenze inevitabilmente legate al linguaggio (Keats scrive a cavallo del
1800), del mezzo comunicativo (poema vs canzone) e di ciò che significa incontrare
una bella donna 200 anni fa ed oggi, è stato Max Gazzè a ricordarmi Keats.
Con la seguente
canzone:
Concludo con dei dovuti
ringraziamenti: in primis al mio carissimo amico per aver insistito affinché
leggessi Hyperion. Avevi ragione.
A Dan Simmons, per
avermi fatto conoscere Keats.
E a Keats, che vissuto
solo 25 anni, ha fatto molto di più di tante persone che sono in vita da più
tempo.
Prego Marco!
RispondiEliminaHai saputo scrivere ciò che ti volevo trasmettere nelle poche parole che ti ho detto prima di pronunciare la frase LEGGILO!
Grazie mille ancora!
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