lunedì 30 gennaio 2012

Parallelismi 2

Mesi fa un carissimo amico insiste per prestami un libro, Hyperion, di Dan Simmons.
Devono passare diversi giorni prima che riesca a dedicarmi alla sua lettura, ma nel momento in cui aggredisco le prime pagine (particolarmente ostiche, devo ammettere), capisco che è un libro che leggerò tutto d’un fiato.
Vi rimando al link per scoprirne la trama e l’importanza a livello letterario (ha vinto il premio Hugo nel 1990, non è poco).
Ciò di cui invece di cui voglio scrivere qui sono gli spunti di riflessione e di ricerca che il romanzo mi ha regalato.
Innanzitutto, lo stile.
Ogni scrittore col tempo crea, sperimenta ed, infine, affina un proprio personale stile che lo contraddistingue: ci vogliono anni però, tanti libri letti e tanti fogli scritti.
Anni durante i quali si inizia a scrivere cercando di emulare lo stile degli autori preferiti e, allo stesso tempo, si cerca timidamente di allontanarsene sempre di più.
Tale procedimento porta, prima o poi, ad uno svezzamento stilistico e, da non sottovalutare, psicologico.
Si cerca il coraggio di scrivere quello che si ha dentro e ciò, per molti, è una forma di affermazione personale che travalica la scrittura in sé
Inoltre, col passare degli anni si scopre quale genere letterario è più consono al proprio animo: la poesia...o forse il romanzo. Non sarebbe meglio un bel racconto breve? E il romanzo storico? La fantascienza? Per non parlare del diario autobiografico, della sceneggiatura cinematografica e della saggistica.
Inevitabilmente, però, quando nella tua mente visualizzi, senti (e già ne pregusti le frasi) una trama che funziona, e magari la immagini come un bel poema in terzine di endecasillabi, la tua penna inizia a scriverla in tutt'altro modo, cioè come in realtà sai fare meglio: un racconto beve, per esempio.
Ci vuole una particolare attitudine e una grandissima flessibilità per passare (con risultati decenti) da uno stile all’altro. Pochi scrittori che si avventurano in questi campi ottengono lavori che vale la pena di pubblicare e di leggere.
Simmons, per mia fortuna, è uno di questi. Cambia stile, relativo linguaggio e sfumature psicologiche in base al personaggio o alla situazione. A volte per piegarsi ad esigenze di trama, a volte, e si vede, per puro divertimento.
La cosa grande è che lo fa all’interno della stessa opera.
Per chi, come me, legge la sera alla luce di una abat-jour quasi sempre lo stesso numero di pagine fino a quando non si addormenta, è più lampante questo distacco, questa netta differenza che caratterizza le varie parti del romanzo rispetto ad un’opera che mantiene sempre lo stesso ritmo.
E non puoi fare altro che sorridere quando ti accorgi di esserti immedesimato tanto da aver dimenticato che è stata la stessa persona ad avere sritto quelle diverse parti.
Grazie Simmons.
Hyperion: il titolo Simmons lo ruba al canto “La caduta di Hyperion: un sogno”, scritta dal poco conosciuto, e poco studiato, romantico poeta inglese John Keats nel 1819.
Non conosco Keats, ma i continui riferimenti ai suoi poemi, alla sua vita e alla sua personalità contenuti nell’opera, mi incuriosiscono a tal punto da cercarlo in rete e acquistarne le opere.
Simmons infatti, arriva a dedicargli un intero personaggio, un cibrido (un essere umano, cioè, in cui è stata impiantata l'intelligenza e la personalità di un altro essere umano) da cui rimango subito affascinato: bello, malinconico tormentato. Un po’ Roy Batty di Blade Runner, un po’ Leopardi.
Sfoglio le pagine dell’edizione italiana con la curiosità di leggere proprio Hyperion per capire cosa abbia ispirato Simmons ma, ahimè, leggo nella prefazione che non vi è inclusa, perché non è facile trovarne una traduzione in italiano. Le opere che ho davanti sono tutto il repertorio poetico tradotto, almeno in edizioni attualmente in libreria.
Pazienza, lo leggerò comunque.
I poemi differiscono per lunghezza, ma sono tutti complessi e articolati: solo dopo averne letti diversi mi accorgo, dal testo inglese a fronte, che originariamente erano in rima.
Peccato, la traduzione italiana, per quanto ottima, ha tralasciato questo aspetto, a mio parere importantissimo.
Una poesia, in particolare, mi ha colpito e ha attivato in me quei collegamenti metatestuali,  che arrivo a mettere a fuoco solo che dopo giorni e giorni ho rimuginato.
La incollo qui, affinché si possano trarre le mie stesse sensazioni:

«Che terribile bellezza! Da quest’istante strappo dalla mia mente qualsiasi altra donna» 
Terenzio, Eunuco, II, 4

Voglio una coppa piena sino all’orlo 
E dentro annegarci l’anima:
 
Riempitela d’una droga capace
 
Di bandire la Donna dalla mente.
 
E non voglio dell’acqua poetica, che scaldi
 


I sensi al desiderio lussurioso, 
Ma una sorsata profonda
 
Tracannata dalle onde del Lete,
 
Per liberare con un incanto il mio
 
Petto disperato dall’immagine
 
Più bella che gli occhi miei festanti
 
Videro, intossicandone la mente.

È inutile – mi perseguita struggente 
La dolcezza di quel viso.
 
Lo sfavillio del suo sguardo splendente –
 
E quel seno, terrestre paradiso.

Mai più felice sarà la vista mia, 
Ché ha perso il visibile ogni sapore:
 
Perduto è il piacere della poesia,
 
L’ammirazione per il classico nitore.

Sapesse lei come batte il mio cuore, 
Con un sorriso ne lenirebbe la pena,
 
E sollevato ne sentirei la dolcezza,
 
La gioia, mescolata col dolore.
 
Come un toscano perduto in Lapponia,
 
Tra le nevi, pensa al suo dolce Arno,
 
Così sarà lei per me in eterno
 
L’aura della mia memoria.


Ricordiamoci che Keats è uno dei primi e dei maggior poeti romantici e leggerlo oggi, quando il massimo del romanticismo è fiori-cenetta-cioccolattini-notte insieme al suono dei Modà, fa salire il diabete anche ad un cucciolo di Chow Chow

Ma mentre leggevo ero sicuro che lo stesso spessore e la stessa passione li avevo già sentiti. E non nei Modà.

Con le dovute differenze inevitabilmente legate al linguaggio (Keats scrive a cavallo del 1800), del mezzo comunicativo (poema vs canzone) e di ciò che significa incontrare una bella donna 200 anni fa ed oggi, è stato Max Gazzè a ricordarmi Keats.

Con la seguente canzone:








Concludo con dei dovuti ringraziamenti: in primis al mio carissimo amico per aver insistito affinché leggessi Hyperion. Avevi ragione.

A Dan Simmons, per avermi fatto conoscere Keats.

E a Keats, che vissuto solo 25 anni, ha fatto molto di più di tante persone che sono in vita da più tempo.


2 commenti:

  1. Prego Marco!
    Hai saputo scrivere ciò che ti volevo trasmettere nelle poche parole che ti ho detto prima di pronunciare la frase LEGGILO!

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