venerdì 27 luglio 2012

Chernobyl Diaries



ATTENZIONE! La seguente recensione contiene tanta irriverenza e tanto veleno, da farvi passare la voglia (o farvela venire) di destinare l’8x1000 alla Chiesa Cattolica.

Uomo avvisato.


Se fino a qualche anno fa (fino a diversi anni fa, in realtà) le mie personali aspettative (anche se credo che non differiscano molto dal pensiero comune) che accompagnavano la visione di un film horror erano soprattutto la curiosità, la voglia di qualcosa di originale, delle scene forti e una sceneggiatura intelligente, di recente sedersi su di un divano e far partire il file dell’ultimo capolavoro che “ha sconvolto l’America”, che decreta “il ritorno di un maestro dell’horror”, un film a causa del quale “non riuscirete più a prendere sonno”, significa sacrificare poco meno di due orette per assistere alla versione horror di Natale alle Bahamas.

È difficile essere originali. Davvero. E non voglio qui inserire una lunga trattazione del perché l’industria culturale stia uccidendo l’inventiva, ma solo mettere a fuoco il fatto che, forse, non è colpa degli sceneggiatori o dei registi, se il mercato richiede questo genere di film.

Semplicemente viene stanziata una cifra (che poteva benissimo essere data in beneficienza), viene scelto un regista che negli ultimi anni ha generato film leggermente interessanti e viene affidata la sceneggiatura ad un ragazzino delle medie la cui conoscenza della scrittura e comprensione della realtà non può non riportarci ai protagonisti (se non addirittura allo sceneggiatore e al regista) del già citato Natale oltr’alpe.

In cosa puoi essere originale se tutto è già stato scritto, se tutto è già stato filmato, se tutto è già stato pensato?



Naturalmente mi sto riferendo alla trama, alla fabula, all’intreccio, come la volete chiamare la chiamate, il nocciolo duro del film in pratica che, infatti, è proprio quella parte che, puntualmente, viene sottovalutata (ma si, chi se ne frega se non ha capo né coda!), semplicemente perché più difficile da sbrogliare.

Andiamo al film, che definire retorico è un eufemismo.

Si prendano 6 ragazzi americani, belli e ricchi (ma và?) e si mandino in Europa in giro a cazzeggiare per le grandi capitali (la cultura, infatti, non attira il teenager).

Tra loro occorre che vi siano, inderogabilmente, due belle gnocche (una bionda e una mora è sempre un’accoppiata vincente! Se poi una delle due, preferibilmente la bionda, ha una quinta su di una vita taglia 42 e non abbia nel guardaroba nulla che non sia una maglia abbottonata all’ombelico… meglio!) e due ragazzi dal viso carino e dai capelli che mantengono la piega anche sott’acqua.

Li si fanno divertire per i primi 25 – 30 minuti del film nel quale il montaggio spara veloci riprese allegre su di una base rock altrettanto allegra.

Poi, necessariamente, occorre inserire l’ELEMENTO MISTERIOSO, lo svolta, il pericolo!

Il testa di ca… di legno del gruppo, propone l’IDEONA: turismo estremo! Perché visitare una noiosa (?) Mosca, quando si può andare a Pripjat, città fantasma dell’ormai fantasma centrale nucleare di Chernobyl?

Dopo una prima, leggerissima, esitazione, i quattro baldi giovini si rivolgono ad un ex militare russo per farsi accompagnare in loco.

Ai cinque si aggregano due personaggi che, forse, riescono a risultare – se ne fosse possibile – ancora più stereotipati dei quattro americani: un globe trotter/pankabestia con tanto di zaino Decathlon, capelli lunghi, barba incolta, kefiah e cappello alla Manu chao e una ragazza nord europea con capelli tanto biondi da sembrare bianchi, tagliati alla meno peggio e poco (se non totalmente assente) gusto per il vestire.

Ora: è un film horror? Ci sono sti deficienti che vanno in un luogo che, lasciando perdere i presunti mostri, è più radioattivo del Signor Burns? Cosa mai potrebbe accadere? Che al primo intoppo si ritorni a casa? Come no…

Traete voi le conclusioni, anche perché ho già detto molto della trama.

Torniamo a noi.

Se una trama del genere risulta stantia come le cotolette che tua nonna ti propina ogni domenica da 20 anni, e forse di più, su cosa si può lavorare per rendere il film originale o quantomeno innovativo da spingere quattro deficienti a spendere degli euro per andare a vederlo al cinema?

Visto che, oltre alla trama, anche i dialoghi dei personaggi risultano cosi banali e le interazioni tra loro rasentano la sindrome di Asperger?

In parte la presenza del gentil sesso, che non fa mai male. In parte anche un’ambientazione che solo per il peso storico che ha sulle spalle, risulta inquietante. E, mi verrebbe da riscrivere “in parte”, anche per le riprese e il montaggio.

In realtà, se scrivessi due o tre anni fa, la vera novità sarebbe proprio li: la telecamera a spalla, con inserimenti di riprese dalla videocamera o dalla fotocamera dei personaggi e montaggio veloce da videoclip. Il tutto per trasmettere allo spettatore un maggiore senso di verosimiglianza dei fatti.

Se scrivessi due o tre anni fa.

Ma in questi pochi anni non si contano più i film che usano tali “stratagemmi”, e non sto a citarvene neanche uno perché siamo all’altezza di questo, e non voglio che li guardiate. Perché? Perchè vi rispetto.

Concludendo: nei 90 minuti che mi sono sorbito insieme alla morosa e a dei cari amici, ci siamo cimentati nel gioco del “Ora vuoi vedere che succede questo?”, ma anche il divertentissimo “Ma perché fanno cosi? Non era meglio…”, per concludere con un giro di “Sta scena è uguale a quell’altro film…”.

Quindi, non vi consiglierò di non vederlo. Vi consiglierò semplicemente di trovare il giusto gruppo di amici criticoni, allegri e prevenuti, con cui dissacrare, sventrare, sfottere e blaterare su di ogni singolo fotogramma del film

Il divertimento, vi prometto, sarà assicurato.

martedì 24 luglio 2012

Chef



La cucina è la vostra passione? Passate delle ore davanti ai fornelli con addosso un grembiule sudicio e armati di cucchiaio? Seguite alla lettera le ricette della Parodi, l’unica donna al mondo a riuscire a cucinare e non sporcarsi con addosso un abito da 300 euro?

Amate le f*****e ricette di Gordon Ramsay? Non perdete una f*****a puntata di Master Chef, di Hell’s Chitchen e di Cucine da Incubo?

Sognate di realizzare dolci leggendari come quelli del Boss delle torte?

No? Allora “Chef” sarà per voi soltanto un simpatico modo per trascorrere un’oretta e mezza in serenità.

Ma se avete risposto affermativamente anche solo ad una delle domande precedenti e dentro di voi brucia lo spirito di Vissani, sicuramente apprezzerete (anzi gusterete!) questa dolce commedia francese.

Per un attimo, preso dal mondo gastronomico, stavo cedendo alla tentazione di descrivere il film con l’abusato metodo della finta ricetta, cioè nel seguente modo:


Chef, ingredienti:

- 500 gr di attori francesi;

- 250gr di buoni sentimenti;

- 150gr di un argomento che piace sempre (la cucina);

- 2 storie d’amore;

- un pizzico di ironia;

- colpi di scena q.b.


Ma al secondo conato di vomito mi sono detto che avrei dovuto fare di meglio (anche perché, non è che ci voglia molto… ).

Ecco qui allora la trama: Jacky è un ottimo cuoco, forse più che ottimo, e queste sue qualità sono proprio il problema per il quale non riesce a tenersi un posto di lavoro per più di qualche settimana. La passione viscerale per la cucina, per gli accoppiamenti poetici tra gli odori e la consistenza del cibo, per i buoni vini; la pignoleria, il perfezionismo, la ricerca del piatto ideale, mal si sposano con le trattorie, i bistrot e i fast food in cui lavora.

Ma la vita non è, sfortunatamente, solo passione. E all’ennesimo ultimatum della fidanzata a trovarsi e tenersi un qualsiasi lavoro, pena la rottura del loro rapporto, Jacky sacrifica la propria vocazione per amore e per soldi.

Ciò che non è Jacky, e che vorrebbe diventare, lo è sicuramente Alexandre Lagarde ( interpretato da un in formissima Jean Renò): chef ricco, affermato, famoso, geniale. Il problema è che l’industria del cibo è, appunto, un’industria, con le sue regole spietate votate al massimo profitto con il minimo sforzo, e una figura romantica come quella di Lagarde ormai non può che suonare quantomeno anacronistico.

Romantica perché Lagarde in realtà è un uomo che ha dedicato troppo alla cucina e troppo poco alla famiglia, arricchendo d’amore il cibo, impoverendo quello per la moglie e la figlia.

Cosa potrebbe accadere mai, secondo voi, a questo punto? I due non potranno che incontrarsi e migliorarsi l’un l’altro, affrontando situazioni simpatiche, ridicole, fino all’immancabile lieto fine.

Qualche piccolo appunto. Premetto che non stiamo parlando di una produzione Hollywoodiana, che non è un colossal da 200 milioni di dollari. E non ne ha le pretese.

È un film dolce, leggero e simpatico. Mentre lo guardi senti i profumi del cibo sui fornelli, l’aroma del pane appena sfornato per le vie di Parigi, la sensazione dell’erba morbida del Campo di Marte ai piedi della Torre Eiffel.

Aaaahhh Paris!

Tutto questo parlare di cibo mi ha fatto venire l’acquolina in bocca. Ho messo su la pentola con l’acqua per la pasta: chi vuole assaggiare delle tagliatelle al pesto di pistacchio, speck e mandorle?