giovedì 4 ottobre 2012

Profondo Blu


Non è facile scrivere la recensione di un thriller.
Non puoi parlare troppo della trama per paura di svelarne delle parti importanti.
Non puoi, quindi, dilungarti neanche molto sui personaggi, perché alla trama sono strettamente legati.
Potrei parlarvi di ciò che ho provato leggendolo. Ma non sono un famoso critico letterario né tantomeno (aimè!) uno scrittore, quindi perché dovrebbe interessarvi?
Inoltre ciò che cogliamo all'interno di un libro (cosi come in una canzone o in un film, o ancora in un quadro), passa sempre per il filtro dei nostri gusti, delle nostre esperienze. Per ciò che siamo, semplicemente.
Di cosa potrei parlarvi allora? Come faccio a descrivere cosa penso di un libro, cercando di non parlare troppo del libro stesso?
Ora che sono finalmente riuscito a rompere il virtuale ghiaccio che era posto tra te, lettore ignaro e me, scrittore ignaro (???), e aver cosi riempito le prime righe di questo articolo, posso arrivare al nocciolo della questione.
Jeffery Deaver ho lo straordinario potere di catapultarti, anzi no, di risucchiarti come una Folletto nuova nuova, all’interno di qualunque mondo egli riesca a creare sulle pagine di un suo libro, fino a quando, a libro finito, non ti sembra di avere anche tu un’infarinatura di quel mondo (culturale, tecnologico, scientifico che sia).
Ebbi questa sensazione col primo libro che lessi, “La scimmia di pietra”. Appena finito, un po’ come Neo, esclamai: “Conosco la Cina”.
Idem per “La sedia vuota”: “Conosco l’Entomologia”.
Per Profondo Blu, la sensazione si è ripetuta. “Conosco l’informatica”? Forse no, almeno non del tutto.
Cosi come in questo libro, anche negli altri (almeno in quelli che ho letto io) Deaver gioca solamente con ciò che in realtà gli serve, per far si che la trama e i vari protagonisti da lui generati vivano la loro vita di carta  incastrandosi, evolvendosi e morendo, semplicemente per portarci dove egli vuole andare a parare.
Tutto ciò in realtà perché i suoi libri non sono manuali, ma ne rasentano la verosimiglianza grazie ad una massiccia dose di nozioni, informazioni e aneddoti di circostanza, utilizzati, come dicevo sopra, all’uopo.
Detto questo, Profondo blu si immerge nel e attinge dall’universo informatico e, con la maestria che lo contraddistingue, Deaver intreccia una trama coinvolgente e mai noiosa, fino al tipico finale a sorpresa con fuochi d’artificio.
Ed eccoci arrivati ai “però”.
DOMANDA: Come scrivere un thriller con un nerd come protagonista che non esce mai di casa e non ha rapporti sociali e quei pochi che aveva li ha persi, rendendo tutto interessante (chi ha detto “The Big Bang Theory”???).
RISPOSTA: In realtà non si può, è assodato. A meno che l’antagonista non sia un nerd… differente!
D: E come si arresta un nerd differente se, per quanto differente, non esce mai di casa, non sa rapportarsi ai suoi simili e vive in una realtà parallela totalmente virtuale la cui solo estensione nel mondo fisico è la tastiera?
R: Semplice, unendo il mondo dell’informatica nerdiana, a quello del social engineering, a quello del serial killer.
D: Ma non sembra un po’ da paraculo?
R: …
Questo è ciò che accade nel libro.
Nella mia vita offline, mi sono interessato di social engineering e di vita online, con un leggero occhio al rapporto tra questa e la creazione di alter ego, avatar e nickname: le pagine di questo libro mi hanno riportato alla mente una bellissima opera che, se interessati, vi consiglio di leggere. Si intitola: “Avatar, Dislocazioni mentali, personalità tecno-mediate, derive autistiche e condotte fuori controllo”. A conferma di quanto Deaver studi e si informi prima di scrivere su di un argomento.
Avrei il fortissimo desiderio di concludere con una bella spoilerata su una parte importantissima, se non la più importante, del libro, parte che reputo una paraculata di proporzioni bibliche, solamente per avere un’opinione in merito da chi lo ha già letto o lo leggerà (in caso, parliamone in privato!).
Ma so che non è educato. Non vorrei mi prendeste per un troll.
Ad maiora!

1 commento:

  1. Caro fratellino,
    come ben sai, sono un appassionato del Maestro dai tempi delle sue prime fatiche, e non posso che condividere quanto sopra.
    Ma forse, è proprio la capacita di comporre il puzzle narrativo che ti porta a leggere il capitolo successivo, quello successivo ancora fine ad esclamare, al termine del libro "Non credevo che finisse così".
    Forse la grandezza di Deaver sta proprio nella sua innata capacità di portarci a credere tutto, e - cosa rarissima in molti altri scrittori - riuscire a stravolgere la trama nelle ultime 20 pagine, senza mai deludere.
    Attendo con impazienza la tua recensione e le tue opinioni in merito a quello che secondo me è un piccolo -nel suo genere- capolavoro , il racconto breve "L'anello della Westfalia", inserito nella raccolta "La notte della paura".
    Vedrai che non mancherà di deludere chi, come noi, è cresciuto con horror, thriller (e commedia italiana degli anni 80 fra parentesi poichè l'attinenza con Deaver è nulla, ma non si può rinnegare il proprio passato ;-)).

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