martedì 24 luglio 2012

Chef



La cucina è la vostra passione? Passate delle ore davanti ai fornelli con addosso un grembiule sudicio e armati di cucchiaio? Seguite alla lettera le ricette della Parodi, l’unica donna al mondo a riuscire a cucinare e non sporcarsi con addosso un abito da 300 euro?

Amate le f*****e ricette di Gordon Ramsay? Non perdete una f*****a puntata di Master Chef, di Hell’s Chitchen e di Cucine da Incubo?

Sognate di realizzare dolci leggendari come quelli del Boss delle torte?

No? Allora “Chef” sarà per voi soltanto un simpatico modo per trascorrere un’oretta e mezza in serenità.

Ma se avete risposto affermativamente anche solo ad una delle domande precedenti e dentro di voi brucia lo spirito di Vissani, sicuramente apprezzerete (anzi gusterete!) questa dolce commedia francese.

Per un attimo, preso dal mondo gastronomico, stavo cedendo alla tentazione di descrivere il film con l’abusato metodo della finta ricetta, cioè nel seguente modo:


Chef, ingredienti:

- 500 gr di attori francesi;

- 250gr di buoni sentimenti;

- 150gr di un argomento che piace sempre (la cucina);

- 2 storie d’amore;

- un pizzico di ironia;

- colpi di scena q.b.


Ma al secondo conato di vomito mi sono detto che avrei dovuto fare di meglio (anche perché, non è che ci voglia molto… ).

Ecco qui allora la trama: Jacky è un ottimo cuoco, forse più che ottimo, e queste sue qualità sono proprio il problema per il quale non riesce a tenersi un posto di lavoro per più di qualche settimana. La passione viscerale per la cucina, per gli accoppiamenti poetici tra gli odori e la consistenza del cibo, per i buoni vini; la pignoleria, il perfezionismo, la ricerca del piatto ideale, mal si sposano con le trattorie, i bistrot e i fast food in cui lavora.

Ma la vita non è, sfortunatamente, solo passione. E all’ennesimo ultimatum della fidanzata a trovarsi e tenersi un qualsiasi lavoro, pena la rottura del loro rapporto, Jacky sacrifica la propria vocazione per amore e per soldi.

Ciò che non è Jacky, e che vorrebbe diventare, lo è sicuramente Alexandre Lagarde ( interpretato da un in formissima Jean Renò): chef ricco, affermato, famoso, geniale. Il problema è che l’industria del cibo è, appunto, un’industria, con le sue regole spietate votate al massimo profitto con il minimo sforzo, e una figura romantica come quella di Lagarde ormai non può che suonare quantomeno anacronistico.

Romantica perché Lagarde in realtà è un uomo che ha dedicato troppo alla cucina e troppo poco alla famiglia, arricchendo d’amore il cibo, impoverendo quello per la moglie e la figlia.

Cosa potrebbe accadere mai, secondo voi, a questo punto? I due non potranno che incontrarsi e migliorarsi l’un l’altro, affrontando situazioni simpatiche, ridicole, fino all’immancabile lieto fine.

Qualche piccolo appunto. Premetto che non stiamo parlando di una produzione Hollywoodiana, che non è un colossal da 200 milioni di dollari. E non ne ha le pretese.

È un film dolce, leggero e simpatico. Mentre lo guardi senti i profumi del cibo sui fornelli, l’aroma del pane appena sfornato per le vie di Parigi, la sensazione dell’erba morbida del Campo di Marte ai piedi della Torre Eiffel.

Aaaahhh Paris!

Tutto questo parlare di cibo mi ha fatto venire l’acquolina in bocca. Ho messo su la pentola con l’acqua per la pasta: chi vuole assaggiare delle tagliatelle al pesto di pistacchio, speck e mandorle?

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