giovedì 18 ottobre 2012

Dream House







Mi sono sempre piaciuti gli aneddoti e le curiosità che ruotano attorno ad un film: sono come il perfetto contorno ad un gustoso piatto. Ogni qualvolta decido di vedere un film, quindi, oltre alle recensioni cerco di farmi un’idea proprio da ciò che il film ha generato intorno a sé. Da quanta acqua ha smosso, direbbe qualcuno.

Nel caso di Dream House (attenzione il recente di Jim Sheridan, non quello di Graeme Campbell del 1998), sembrava proprio che avessi trovato pane per i miei denti – se mi è concesso di continuare sulla falsa riga del paragone culinario –.

Il regista, infatti, ha disconosciuto la propria opera dopo che la produzione l’aveva rimaneggiata più e più volte. Gli stessi attori principali, Daniel Craig e Rachel Weisz, si sono rifiutati di promuovere il film, in linea col pensiero del regista.

Con questi presupposti e dopo aver letto tante recensioni negative, non potevo fare a meno di vederlo!

La trama è molto semplice: Craig è Will Atenton, un editor di successo che, dopo aver acquistato una casa da ristrutturare nel New England, decide di lasciare il lavoro e dedicarsi a tempo pieno alla scrittura e alla propria famiglia. Scoprirà che proprio in quella casa, anni prima, sono state uccise una donna e le sue due figlie.

Il film girerà intorno alla ricerca della verità su quanto accaduto in quella casa, con dei graziosi, ma pochi, colpi di scena, fino ad un finale in parte prevedibile, in parte non proprio cosi scontato.

Non so se perché cosciente dei vari rimaneggiamenti, e quindi a causa di una percezione soggettiva e personale, ma per tutta la durata del film ho avvertito, in più di una scena, la sensazione che mancasse qualcosa, che la scena fosse stata tagliata, o che fosse stata piazzata li senza una reale motivazione.

In realtà, alla fine del film, i miei dubbi si sono rivelati fondati: ai fini della trama, e più precisamente ai fini della creazione di un intreccio che fosse abbastanza intricato e curioso da tenere il fiato sospeso, certi passaggi, cosi come certi personaggi fondamentali, ci tengo a sottolinearlo, avrebbero necessitato di maggiore risalto. Avrebbero contribuito a rendere migliore un prodotto che, a mio parere, è comunque valido, ma non brillante.

Peccato. Perché l’idea di fondo, gli attori e gli interrogativi che il film lascia aperti, sono di grande qualità.

È come se si ordinasse una gustosissima fetta di torta e, mentre la si assapora, ci si accorgesse che la crema, oppure la panna che la ricopre, oppure il cioccolato che la guarnisce, abbiano un gusto leggermente stantio.

Che delusione!

Ad maiora!

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